La moneta da 5 lire in argento del tipo "Aquila spiegata", coniata con la sola data 1901, è la prima moneta che reca l'efficie sovrana di Vittorio Emanuele III. Essendo la sua natura di moneta effettiva alquanto discussa è necessario, per fare chiarezza, ricorrere alla letteratura che nel tempo se ne è occupata. Il primo a scrivere di questa moneta fu lo stesso Vittorio Emanuele III, che la catalogò nel CNI [I, p. 488, n. 1] quale moneta, aggiungendovi la seguente nota: "Di questo scudo si coniarono alcuni esemplari, ma non si potè fare una coniazione regolare in causa degli obblighi della Convenzione internazionale." Gli obblighi citati sono quelli assunti dall'Italia in seno alla Convenzione monetaria latina, la quale prevedeva che il contingente degli scudi da 5 lire, rigorosamente controllato, doveva essere fissato anno per anno, e per ogni emissione, o ritiro dalla circolazione, o rifusione, doveva essere data preventiva notizia e chiesto il nulla osta alle nazioni contraenti. Più tardi, Carboneri [Carboneri 1915b, p. 418], intervenendo su tale argomento, scrisse che di queste monete ne furono coniati qualche centinaio di pezzi, ma che per l'opposizione della Francia (Paese contraente della Lega latina) si dovettero rifondere e i pochi esemplari rimasti furono quelli che, essendo già stati dati in dono, non si poterono recuperare e distruggere, sebbene, aggiunge, "[...] non siano da considerare come vere monete". Lo stesso Carboneri [ibid., p. 884] quantifica in 114 (il solo che lo fa) il numero dei pezzi di questa moneta che non si poterono recuperare e di cui non fu autorizzata l'emissione per i succitati motivi.
Successivamente, Lanfranco [1931a, p. 44] scrisse che "Già nel febbraio 1901 [Filippo Speranza] aveva ultimati i punzoni della nuova moneta da L. 5 con l'aquila sabauda nel rovescio, e nei primi giorni di marzo venivano trasmessi 10 esemplari destinati alle Loro Maestà il Re e la Regina, al Ministro e Sottosegretario al Tesoro ed agli alti funzionari della Direzione Generale del Tesoro. [...] Questi campioni hanno ottenuto il pieno gradimento come risulta da una lettera del Ministro del Tesoro al Direttore della Zecca in data 11 Marzo 1901 [...]. Questa moneta coniata in pochi esemplari non è stata emessa. Essa quindi deve essere considerata come una prova o saggio di moneta da 5 lire. Vero è che effettivamente sono stati coniati qualche centinaio di pezzi, ma per le rimostranze della Francia, in dipendenza della Convenzione monetaria latina, si dovettero rifondere, ad eccezione di pochi pezzi sovraricordati [10 esemplari], che perciò sono da considerarsi come prove."
D'Incerti [1956, p. 113], a tal proposito, puntualizzò che la Francia, pochi anni prima del 1901 e precisamente nel 1898, si vide rifiutare il nulla osta ad emettere il suo nuovo scudo da 5 franchi del tipo "Roty", dovendo poi provvedere alla rifusione dei pezzi già coniati, e, per tale motivo, trovò argomenti sufficienti per non acconsentire alla coniazione della moneta italiana.
Infine, Travaini [1991, p. 153], riporta la lettera scritta, il 9 marzo 1901, da Vittorio Emanule III ed inviata al suo tutore, Tenente Colonnello Egidio Osio, dove si legge: "Secondo la promessa qui unito Le invio uno scudo colla mia effige, ne ho avuto ieri i primi esemplari. Questo scudo sarà fra breve raro poiché non se ne batteranno che ben pochi, visto che gli scudi vanno ancora in Francia come oro; si è battuto lo scudo per avere il conio di diametro maggiore; gli altri conî si ottengono meccanicamente con una macchina da copiare. Seguiranno fra breve le £ 2, e la Lira e le £ 20. L'incisione del £ 5 mi sembra buona e spero che le piacerà l'aquila Savoiarda che io stesso ho fatto disegnare". Da questa corrispondenza si evince che le 5 Lire del 1901 furono concepite per essere coniate, in pochi esemplari, allo scopo di essere poi vendute ai collezionisti. Inoltre, è altresì evidente che, alla data della lettera in oggetto, il quantitativo destinato ad essere poi venduto doveva ancora essere coniato e che le monete nelle disponibilità del re erano quelle comprese nei 10 esemplari indicati dal Lanfranco [v. supra], che costituiscono, quindi, il primo contingente di questa moneta, coniato prima dell'emissione del decreto che ne autorizzava i tipi.
Stando così le cose, appare del tutto evidente che non ci fu mai l'intenzione di battere queste monete per la circolazione. Inoltre, è verosimile che il quantitativo di 114 pezzi (peraltro non dimostrabile in alcun modo), indicato dal Carboneri [v. supra], all'epoca Segretario della Regia Commissione Monetale, sarebbe comprensivo sia degli esemplari campione omaggiati alle autorità sia di quanto rimase della rifusione effettuata di quel "... qualche centiniaio di pezzi ...", indicato anche dal Lanfranco [v. supra], coniato successivamente ai citati esemplari campione.
Tuttavia, Lanfranco [v. supra], in quegli anni direttore della Regia Zecca, da per scontata la rifusione di tutti gli esemplari coniati di questa moneta, ad eccezione dei campioni omaggiati, che egli stesso quantificò in 10 esemplari, e non accenna a nessuna vendita a collezionisti. Ne consegue che la vendita di queste monete non fu effettuata dalla zecca italiana: il direttore non la ufficializzò, tanto meno riferì di un eventuale quantitativo residuo di 114 pezzi di cui, peraltro, non esiste alcuna documentazione relativa sia alla coniazione sia alla vendita, anche se Rinaldi [1966, p. 69] ci fa sapere, che questi pezzi furono venduti, soprattutto in Francia e in Germania, al prezzo di 50 lire cadauno. Dopodiché, il prezzo di questa moneta si quadruplicò nelle successive e immediate contrattazioni private, arrivando ad essere venduta a 500-600 lire nel 1918 ed a 1.500 lire nel 1929, per poi salire subito dopo a 15-20 mila lire ed a 40.000 lire nel 1949; dopo un periodo di stasi, nel corso del quale risultò introvabile, questa moneta fu valutata 400-500 mila lire nel 1963 ed a più di 2.000.000 nel 1966.
Si tratta dunque di una moneta non emessa, per motivi non dipendenti dall'autorità emittente, che non fu autorizzata da alcun decreto d'emissione che ne quantificasse il contingente da produrre. Inoltre, ufficialmente, dovrebbero esistere solo gli esemplari campione omaggiati alle autorità. Tuttavia, è bene chiarire che questa moneta non può essere considerata alla stregua di una prova, come sostenuto dal Lanfranco [v. supra], in quanto le monete di prova esistono. Fu coniata in zecca, prima ma anche dopo, in base al RD 92/1901 che ne autorizzava i tipi e le sue caratteristiche metrologiche sono compatibili con quanto stabilito dal sistema monetario vigente all'epoca. Pertanto, sono da considerarsi, a nostro parere, come monete a tutti gli effetti che, tuttavia, non furono emesse.
Indagini della Guardia di Finanza, effettuate nel 2002 presso la zecca di Roma, hanno appurato che, nel 1926 e nel 1957, il materiale creatore di questa moneta d'argento da 5 lire del 1901 fu portato al di fuori del Magazzino Materiale di Incisione, senza che, tuttavia, ne fosse stato giustificato lo scopo [Luppino 2009, pp. 395-400]. Quanto riportato, ha fatto supporre a Luppino (l'ufficiale della GdF che condusse le indagini) che della moneta d'argento da 5 lire del 1901 possano essere stati riconiati in zecca, in epoche successive e senza alcuna autorizzazione, eventuali pezzi postumi.
Nonostante la Convenzione con la Lega monetaria latina, causa le mutate condizioni economiche, prevedesse che, a partire dal 1862, le monete in argento da 2 lire, 1 lira, 50 centesimi e 20 centesimi dovessero essere coniate con il titolo di 835 millesimi ed avere corso legale limitato, quelle da 5 lire continuarono ad essere coniate con il titolo di 900 millesimi e ad avere corso legale illimitato. In questo modo la coniazione delle monete da 5 lire in argento veniva riservata unicamente ai privati, proibendosi implicitamente allo Stato di proseguirne per proprio conto la fabbricazione. Per effetto della L 788/1862, i privati conservavano la facoltà di richiedere dalle zecche dello Stato la coniazione delle monete da 5 lire; essi, secondo quanto stabilito dal RD 370/1861, dovevano pagare, quale diritto di coniazione, 1,72222 lire per ogni chilogrammo d'argento fino lavorato; cosicché, l'argento fino monetato a pieno titolo (900 millesimi), dedotti i diritti di coniazione, veniva ad avere il valore di 220,50 lire al chilogrammo. Pertanto, il valore intrinseco delle monete d'argento a pieno titolo era di 222,22222 lire al chilogrammo. Tuttavia, a seguito di quanto stabilito dalla Convenzione addizionale della Lega monetaria latina del 31 gennaio 1874, si cercò di limitare la coniazione di queste monete e, causa la diminuzione del prezzo dell'argento, si procedette al ribasso dell'accetazione in zecca dell'argento, da 220,50 lire a 218,88 lire al chilogrammo, al fine di impedire che i privati richiedessero ingenti coniazioni con lo scopo di lucrare sulla differtenza di prezzo fra il metallo e la moneta [Carboneri 1915b, pp. 296, 299, 340-341, 482]. Successivamente, fu emanata la L 2651/1875, che autorizzava il governo a dare esecuzione alla citata Convenzione del 1874, e, nel 1877, a seguito uno scambio di note diplomatiche tra i Paesi della Lega, si decise, sempre a causa del continuo deprazzamento dell'argento, di sospendere definitivamente in tutti gli Stati la coniazione delle monete da 5 lire. Fu comunque concesso all'Italia di eseguire nel 1878 un'ulteriore coniazione, poi effettuata sia a nome di Vittorio Emanuele II sia a nome di Umberto I, nel frattempo asceso al trono d'Italia. Infine, a seguito della Convenzione della Lega monetaria latina del 5 novembre 1878, fu sancita la sospensione definitiva della coniazione delle monete da 5 lire, salvo poterla eventualmente riprendere tramite l'accordo unanime degli Stati contraenti. L'Italia, ottenne a stento la facoltà di coniare, utilizzando delle piastre borboniche giacenti presso il Tesoro, un ulteriore quantitativo di monete da 5 lire, rinunciando ad utilizzare le altre monete antiche di argento in ulteriori coniazioni del genere [Carboneri 1915b, pp. 300, 348, 477, tab.]. Tuttavia, in Italia, queste monete furono coniate anche nel, 1901, 1911 e 1914.
Secondo Carboneri [1915b, pp. 884-885, tab. B1], le monete da 5 lire in argento, del tipo "Aquila spiegata", furono coniate nel 1901 in un quantitativo imprecisato per poi essere rifuse, tranne 114 pezzi; tuttavia, tale affermazione non è verificabile e il numero effettivo delle monete coniate non è quantificabile.
Tra le monete aventi la legenda del contorno composta dai tre motti fert, in incuso tra nodi e rosette, se ne possono trovare alcune in cui, seppur raramente, per la consunzione, deformazione o rottura, dovuta all'usura delle lettere f, e, r e t poste in incuso sulla ghiera, uno, due o tutti i tre motti si presentano alterati in fekt, fent, fept, feri, ffkt, ffrt, fih, fikt, fkrt, iiki o iirt. Più frequentemente, invece, può capitare che, per l'errata disposizione della ghiera, vi siano delle monete che presentano la legenda del contorno impressa al contrario, ossia quando i tre motti fert appaiono capovolti rispetto alla faccia del dritto.